Mental Coaching sportivo – Siamo tutti dei performers

Gennaio 8, 2020

Ognuno di noi si trova a “performare”, ovvero a fare delle azioni quotidiane che portano a un risultato.

Performiamo in ogni campo: nello studio, nel lavoro, nello sport, persino nel tempo libero. Una performance può essere una gara, vincere o perdere una partita; passare un esame universitario; anche preparare una torta fatta in casa ha a che fare con una performance.

Chi più o chi meno, ragioniamo tutti in termini di “cose da fare”, “azioni”, “tempi” e “risultati”. In molti casi queste azioni richiedono una preparazione, un allenamento fisico e mentale.

Le nostre azioni spesso sono accompagnate da spinte forti come entusiasmo, gioia, sfida con noi stessi e gli altri. Altre volte prevale la fatica, lo sforzo; proviamo stress, scoraggiamento e tensione. Alcune “fatiche” sono naturali, come “effetto” della nostra performance. Altre ce le carichiamo addosso, insieme con il peso delle “aspettative” e del “giudizio” nostro e degli altri su di noi.

Atleti e performance

Migliorare la performance e ottenere risultati sono aspettative tipiche dell’atleta. Ci aspettiamo da un atleta che non molli mai, che migliori continuamente la sua prestazione, nonostante i sacrifici e le rinunce.

La maggior parte degli sportivi, amatoriali o professionisti che siano, crede che le caratteristiche necessarie per raggiungere il successo siano la disciplina, il rigore, il duro allenamento, la rinuncia al piacere. Ma spesso questo non basta. Come mai?

Di che cosa abbiamo bisogno per performare al meglio?

Talvolta un trauma fisico, anche banale, un fermo forzato, possono avere ripercussioni sull’equilibrio personale, sulla fiducia in se stessi, sul recupero alla normalità. Oppure possono emergere all’improvviso delle paure nascoste (come la paura del fallimento) che si nascondono dietro il desiderio e la voglia di arrivare fino in fondo alla meta.

Non va dunque sottovaluto il ruolo della propria mente nella performance. Come l’allenamento  fisico serve al corpo, così anche la mente può essere allenata alla riuscita. La mente ha bisogno di un proprio allenamento, soprattutto fatto di quelle qualità più “morbide” come la leggerezza, la flessibilità, l’armonia, l’ascolto del corpo e dei propri bisogni. Un corpo ed una mente “centrati” e in armonia creano una carica che potenzia la motivazione, il focus, l’ossigenazione dei tessuti ed una maggiore fluidità muscolare.

Esiste una figura professionale, il mental coach, che può aiutare a superare le crisi, focalizzando le forze, vincendo blocchi e paure. 

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Focus: il mental coach

Il mental coach lavora con la persona per identificare il focus (l’obiettivo), le risorse a disposizione, eventuali blocchi da superare, partendo dai bisogni e dalle caratteristiche della persona. È un facilitatore, ovvero aiuta la persona in una scoperta autonoma delle “proprie” soluzioni e verità.

L’obiettivo dell’intervento del mental coach è di fornire uno specifico supporto verso l’acquisizione di un più alto grado di consapevolezza, responsabilità, scelta, fiducia e autonomia.

La parola “coach” ha origine dal termine francese coche, carrozza, un mezzo di trasporto trainato da cavalli e condotto da una guida.

Negli Stati Uniti, il coach è l’allenatore, chiamato a sviluppare e incrementare la prestazione sportiva di una squadra. Oggi il coach non solo allena la squadra, ma la segue dal punto di vista emotivo. Attraverso la guida costante del coach, i singoli giocatori e il team sviluppano motivazione e concentrazione per raggiungere gli obiettivi attesi.

Il contributo più importante al mental coaching moderno è stato dato nella seconda metà degli anni ’70 dal californiano W. Timothy Gallwey, allenatore della squadra di tennis dell’Università di Harvard e primo a mettere per iscritto i suoi principi di base in un libro cult dello sport:

“C’è sempre un gioco interiore in corso nella nostra mente, non importa in che altro gioco siamo impegnati. Il modo in cui lo affrontiamo è quello che spesso fa la differenza tra il nostro successo e il nostro fallimento” (tratto da: Il gioco interiore del tennis. Come usare la mente per raggiungere l’eccellenza, di Timothy W. Gallwey, ed. Ultra)

I libri pubblicati da Timothy Gallwey propongono l’applicazione del mental coaching a molti campi: da quello sportivo come il tennis, il golf, lo sci alla musica e a quelli lavorativi; le sue indicazioni poi sono state applicate anche al campo degli affari, del benessere, dell’educazione. Nel prossimo articolo parlerò di cosa si fa durante una seduta di mental coaching, delle principali tecniche di “allenamento mentale” utilizzate in seduta e a casa.


Silvia Semprini-Psicoterapeuta e Mental Coach

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